«Fai bei sogni è dedicato a quelli che nella vita hanno perso qualcosa. Un amore, un lavoro, un tesoro. E rifiutandosi di accettare la realtà, finiscono per smarrire se stessi. Come il protagonista di questo romanzo. Uno che cammina sulle punte dei piedi e a testa bassa perché il cielo lo spaventa, e anche la terra.»
La presentazione del libro letta sulla seconda di copertina mi ha affascinata immediatamente, ma in realtà avrei comprato, e letto, questo libro a prescindere, perché chi mi affascina davvero, praticamente da quando lo conosco, è il suo autore: Massimo Gramellini. Mi piace come giornalista, mi piace il tono ironico che usa quando scrive, perché quella sottile ironia ti fa sorridere e pensare e, soprattutto, ti fa arrivare fino alla fine dei suoi articoli. Almeno a me fa quest'effetto.
L'ho conosciuto da Fazio non ricordo più quando, leggo i suoi buongiorno con una costanza che gli altri giornalisti se la sognano. Insomma, ho un debole per questo torinese dagli occhi buoni e il sorriso contagioso.
Adesso, dopo aver letto Fai bei sogni, conosco anche la sua storia, quella che non sapevo, quella che non sospettavo. Posso solo immaginare quanto dev'essere stato difficile per lui diventare grande, posso solo immaginare quanto dolore c'è stato o c'è dietro i suoi sorrisi, quanta sofferenza nasconde la sua penna ironica.
E lui, quel bambino rimasto orfano di madre ad otto anni, è riuscito a superare il suo dolore, quel tarlo che lo mangiava dentro, quella fame d'amore che l'ha accompagnato per tutta la sua adolescenza e giovinezza. Quel bambino ce l'ha fatta ad andare oltre i propri limiti, è riuscito ad amare una vita che era iniziata nel modo peggiore, è riuscito a ripartire, a ricominciare, ad amarsi.
Provo sempre una sincera solidarietà verso chi decide di raccontare la propria vita, immagino quanto sia difficile regalare a tutti un pezzetto della propria intimità, un pezzetto della propria solitudine, un pezzetto del proprio senso di inadeguatezza. Ci vuole coraggio per pubblicare un libro così, non perché sia un libro pericoloso o un capolavoro della letteratura contemporanea, semplicemente perché è un libro vero, dove non c'è un personaggio fittizio che avrà il suo lieto fine in maniera artificiosa. Quel bambino è Massimo, grande tifoso del Torino, alle prese con il suo mostro interiore, con amori tormentati, con una scrittura che sa alleviare le sue sofferenze, a volte. E così, quel bambino, quel Massimo generico, uguale a tanti altri, diventerà Massimo Gramellini, quello che oggi amo tanto leggere. Proprio perché la storia è vera ho sentito più forte il messaggio di speranza di quelle pagine, perché anche se la vita inizia in salita conviene sempre, davvero, fare bei sogni, credendoci ovviamente. Gramellini non è soltanto dotato di un modo di scrivere che mi piace davvero tanto, adesso so che per essere lì dov'è ha dovuto rimboccarsi le maniche molto più di tanti altri. So che oltre ad avere una penna ironica, ha avuto la forza di ricominciare, di rialzarsi, di andare avanti.
Alla fine è riuscito a tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo.

«Breve
riposo dona alla mamma, Signore. Svegliala, falle un caffè e
rimandala subito qui. È mia mamma, capito? O riporti giù lei o fai
venire su me. Scegli tu. Ma in fretta. Facciamo che adesso chiudo gli
occhi e quando li riapro hai deciso? Così sia.»
La
mattina dei funerali mi chiusi in camera e attesi che la bara fosse
uscita di casa. Abbassai le serrande, mi infilai all'incontrario
sotto le lenzuola e salii a bordo del Sottomarino con un bisogno
disperato di dichiarare guerra al mondo intero. Ma non riuscivo più
a trovare i nemici. Erano tutti dentro di me.
Una
mattina era sparita «per fare delle commissioni». L'avevo vista
tornare di lì a qualche giorno, ancora più triste. In casa ci
dividevamo i compiti: papà la accarezzava con le parole e io le
parlavo con le carezze. Ma la mamma sembrava non ricambiare nessuno
dei due.
Non
essere amati è una sofferenza grande, però non la più grande. La
più grande è non essere amati più.
Perché
avrei dovuto continuare a comportarmi bene, se tanto non c'era più
nessuno a dirmi bravo?
La
mamma era argomento tabù. Una sola volta osai chiedergli quale
fosse, in una classifica ipotetica delle disgrazie, la più
meritevole del primo posto: la scomparsa prematura di una moglie o di
una mamma? (…) Mi tenne un discorso molto razionale che durò tre
semafori rossi e si concluse in retromarcia al parcheggio con questo
dispaccio solenne: eravamo sistemati male tutti e due, ma dei due chi
stava messo peggio ero io, perché una moglie la puoi sostituire, una
mamma no.
Il
mio cervellino arrancava in cerca di risposte. Se mi fossi alzato
sulle punte, avrei visto che al mondo esistevano incongruenze ben
peggiori: guerre, epidemie, inondazioni. Ma Belfagor sapeva spingermi
solo verso il basso. E da lì l'unico orizzonte che riuscivo a
scorgere era quello della mia piccola vita.
In
fondo la mia vita è la storia dei tentativi che ho fatto di tenere i
piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo.
«Fai
bei sogni. Anzi, fateli insieme. Insieme valgono di più.»
«I
“se” sono il marchio dei falliti! Nella vita si diventa grandi
“nonostante”.»
Per
attutirmi l'impatto col mondo reale Belfagor aveva foderato di ovatta
i miei sensi. Niente mi appassionava, neanche la trasgressione. Non
mi ubriacavo, non mi drogavo e non fumavo spinelli, al massimo
qualche sigaretta a stomaco vuoto. Non amavo gli sport estremi e gli
orari sballati: ho visto più albe al risveglio che andando a
dormire. Non ero né di destra né di sinistra, ma
liberaldemocratico, che a diciotto anni è come preferire il chinotto
al Cuba libre.
Non
so se in amore vince chi fugge, ma di sicuro chi perde rimane lì
dov'è: immobile.
«
“Se” fossi cresciuto con la tua mamma, adesso avresti meno paura
di cadere. Ma avresti anche meno bisogno di volare. “Nonostante”
lei non ci sia più, è tempo che incominci a sbattere le ali.»
Dovevo
agire, però. I mostri del cuore si alimentano con l'inazione. Non
sono le sconfitte a ingrandirli, ma le rinunce.
Ero
finalmente qualcuno. Il sogno di scrivere si era materializzato in
forma imprevedibile, quando avevo creduto di non desiderarlo più. Se
un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi
passare la vita a nasconderlo dietro una nuvola di scetticismo, ma
non riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali
disperati, come la noia e l'assenza di entusiasmo, confidando nella
tua ribellione.
Le
donne non si conquistano con le corde vocali, ma con gli orecchi. Noi
maschi sprechiamo tempo a rintronarle di battute memorabili quando
l'unica cosa che ci chiedono è di prestare attenzione ai loro
pensieri.
Il
dolore apre squarci che consentono di guardarsi dentro.
Nello
stomaco di tutti galleggia un'ingiustizia che abbiamo subìto e
consideriamo inaccettabile. La prova dell'inesistenza di un disegno
superiore che, se ci fosse, non avrebbe mai potuto permetterla.
La
mia specialità consisteva nel trovarmi a disagio ovunque fossi.
Avevo
bisogno di una salita e invece ho preso una scorciatoia. Ho cercato
di cambiare la mia vita senza cambiare me.
Ancora
una volta mi ero illuso che la vita fosse una storia a lieto fine,
mentre era soltanto un palloncino gonfiato dai miei sogni e destinato
a esplodermi sempre fra le mani.
È
nulla il morire. Spaventoso è il non vivere.
Non
è poi così vero che si desidera ciò che non si è mai avuto.
Quando si sta male, si preferisce ciò che ci appartiene da sempre.
«Non
siamo scimmie evolute, ma divinità decadute!»
«E
la vita?»
«Mi
fa paura l'idea di sprecarla. Se la morte è un viaggio, immagino che
la vita sia il prezzo del biglietto.»
Io
sono lo specialista del Dopo e conosco tutti i trucchi per
trasformarlo in Mai.
Preferiamo
ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché
altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere.
Completamente vivi.